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La chiesa dedicata a Santa Maria della Carità, viene chiamata da secoli dal popolo ascolano anche della "scopa", in quanto era gestita dalla Confraternita della Scopa, ma anche dai disciplinati che occupavano l'antico ospedale collegato al luogo sacro, edificato nella seconda parte del XIV secolo. La Confraternita, esistente già nel 1306 e attiva nella vita religiosa e sociale della città, nel 1364, allora chiamata dell'Osservanza, riceveva dal Capitolo di San Pietro a Roma una casa ed un orto per l'erezione della chiesa e un ospedale per i poveri, assumendo poi anche l'assistenza spirituale dei carcerati e dei condannati a morte.
Nel 1532 Cola d'Amatrice si adoperò per i disegni della facciata e degli interni durante dei lavori di ampliamento, che subirono numerose interruzioni, facendo protrarre la costruzione per quasi un secolo. Completata finalmente solo alla fine del XVII secolo, aveva assunto la forma dello stile imperante del Barocco, le cui impronte sono evidenti all'interno; la nuova consacrazione avvenne nel 1713 per opera del Vescovo Giovanni Gambi. L'elegante facciata in travertino, costruita fino alla trabeazione sul progetto di Cola d'Amatrice, è ripartita da quattro lesene corinzie, concluse da capitelli finemente lavorati a foglie d'ulivo, che poggiano su quattro solidi piedistalli, tra i quali si aprono tre portali che recano in alto scolpita l'Arma del Capitolo Vaticano. Gli spazi lisci fino al cornicione mettono in evidenza il prospetto, sottolineandone l'imponenza. Il singolare campanile che termina a bulbo risale al XVII secolo, mentre la campana maggiore, con pregevoli decorazioni, venne fusa nel 1658. L'interno ad unica navata è ricco di ornati e statue: sulle pareti si aprono dieci grandi nicchie, cinque per lato, terminati a conchiglia, suddivise da pilastri scanalati in stile corinzio e relativi capitelli sormontati da una trabeazione (lavori eseguiti tra il 1565 e il 1571 da artisti lombardi). Su ogni nicchia sorge un altare riccamente adornato di stucchi dorati con figure di angeli, putti, stemmi nobiliari del XVII-XVIII secolo. Sull'ampia parete interna della facciata spiccano affreschi riguardanti episodi dell'Esodo, con particolare rilevanza "La Battaglia di Giosuè che ferma il il sole"; sopra la porta centrale altri suggestivi episodi narrati dall'Antico Testamento, opera di Girolamo Buratti, artista seicentesco nativo del maceratese, allievo del Pomarancio. Nel primo altare posto a destra vi è la pala di "Sant'Emidio consacrato vescovo da S. Marcello" eseguito dal veneto Pietro Gaia XVII-XVII secolo, sempre del pittore veneziano sono le tele con figure di "S.Rita", e di "S. Carlo Borromeo". Sono presenti numerosi altari decorati da preziosi stucchi e ornamenti datati tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento; nel terzo altare osserviamo un Cristo Crocifisso, scultura in legno policromo di arte marchigiana del XV secolo. Ancora il Gaia realizza una Crocifissione con la figura del "Cristo al centro assistito dalla Vergine Addolorata ai piedi della croce con vari santi". La volta e le pareti recano ornamenti di statue in stucco e due monumenti funerari in pietra. La pala nell'altare maggiore reca la rappresentazione del Presepio con la Vergine genuflessa, con S. Giuseppe con il Bambino adorato dai pastori, del Buratti; dello stesso artista sono "L'Adorazione dei Magi" e la "Circoncisione". Nei rimanenti altari troviamo altre opere del Gaia, come un olio su tela della "Crocifissione" con ai lati del Cristo che sovrasta al centro, due angeli che raccolgono il sangue che sgorga dalle piaghe, mentre in basso sono raffigurati ai piedi la Vergine e S. Giovanni. Spiccano poi una suggestiva opera di scuola dell'Alemanno, datata fine Quattrocento, con la figura della Madonna di prospetto su sfondo scuro, con largo manto rosso e un altro altare in stucco del 1626, di Sebastiano Ghezzi.

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