Mercenario probabilmente era figlio illegittimo di Fildesmildo, discendente da un ramo della nobile e antica famiglia dei Brunforte e signori di Monteverde, oggi piccolo centro della valle del Tenna nel territorio di Montegiorgio. Si suppone che Mercenario fosse figlio naturale data l'originalità del suo nome, che non trova omonimi di un certo rango nè tra i suoi antenati nè tra i suoi contemporanei. Nome che sarà comunque "ripreso" da suo nipote, figlio di Rinaldo.
Le prime notizie che lo riguardano risalgono al maggio 1314 quando convola a nozze con Isabella Rivelloni, originaria di Ravenna, la quale porta in dote 1700 libbre ravennati e 300 libbre di beni mobili. L’ unione è allietata da due figli, Rinaldo e Mirabella.
Mercenario, uomo d'azione, non fu certo padre amorevole dedito alla vita in famiglia. Già nel 1316 infatti si segnala alle cronache come autore di un'impresa ardimentosa: insieme al fratello mise a ferro e fuoco le fortificazioni dei castelli di Montechiaro e di Mogliano, a quei tempi feudo di un signore avverso ai Monteverde. Durante il papato di Giovanni XXII erano numerosi i vescovi e cardinali schierati con la fazione ghibellina, con alcuni di questi Mercenario intratteneva ottimi rapporti, sopratutto con Guido Tarlati, vescovo di Arezzo, e con i cardinali Napoleone Orsini e Pietro Colonna, che di fatto erano referenti dei ribelli contro il papa. Sono probabilmente questi tre alti prelati che, nel 1320, assoldano il guerriero di Monteverde per cingere d'assedio la città di Ascoli Piceno, all'epoca roccaforte guelfa; per convincerlo a condurre questa audace spedizione militare gli vengono assicurate alcune concessioni come l'invio di truppe e l'appoggio dei capi ghibellini Tebalduccio da Camporo e Lino da Massa. La lega era composta da altri condottieri ma le truppe ghibelline, anche per problemi logistici, temporeggiarono troppo e questo permise alla fazione papale di organizzarsi: fu ingaggiato l'abile condottiero Tano di Baligani da Jesi che intraprese una controffensiva scongiurando di fatto l'assedio. Addirittura sia Tebalduccio che Lino nel 1325 furono sconfitti dal signore della guerra jesino e di conseguenza persero i loro possedimenti, in tale circostanze Mercenario e il castello di Monteverde non furono coinvolti nei combattimenti. Nel 1322 il nostro fu protagonista di imprese militari a Osimo dove, a fianco dei fratelli Lipaccio e Andrea Gozzolini, corse in aiuto sempre della fazione ghibellina dall'assalto del Marchese di Varano, comandante dei Guelfi, che fu sonoramente sconfitto. Ciò bastò perchè il Legato della Marca emise su di lui una severa condanna. Nel corso degli anni seguenti si distingue nell'assedio di Perugia, poi a Sant'Elpidio, nel 1327, dove uccide il Gherardini e mette a ferro e fuoco la città, gesto che pagherà in seguito a caro prezzo.
Mercenario godette di molti favori e della simpatie dell'Imperatore di Germania Ludovico il Bavaro che gli concesse un importante titolo a patto che si impegnasse costantemente nella causa ghibellina. Ma nel 1329 molte città della Marca tornarono sotto l'autorità papale e anche Fermo sottoscrisse un atto di sottomissione a Giovanni XXII; Mercenario come altri signori di castelli dovette piegarsi e versare a titolo di cauzione anche delle somme considerevoli. Ma nel 1331 con un abile colpo di scena compie un vero atto di teatro: si avventura con successo alla conquista di Fermo di cui diventa il "despota". Tuttavia nel corso degli anni conduce trattative per non inimicarsi il papato e tra il 1332 e il 1333 il Rettore e alti dignitari papali si recarono a Fermo per restituire con tutti gli onori alla città e alla sua popolazione i privilegi di un tempo, in un certo senso per dare il benestare al colpo di mano messo in atto da Mercenario. Addirittura è la stessa Chiesa che incarica il signore di Fermo di intervenire anche militarmente se la situazione lo avesse richiesto per obbligare dodici città della Marca a saldare un debito di 15000 fiorini contratti con la Santa Sede. L'atteggiamento ambivalente di Mercenario rientra comunque in uno status tipico dei condottieri tardo medioevali che sarà descritto in maniera straordinaria dal Macchiavelli un secolo dopo.
Con l'elezione di Benedetto XII, la situazione cambia completamente, nel 1335 infatti il pontefice lo dichiara ribelle dello Stato Pontificio e gli intima di risarcire i danni causati. Pertanto nel 1339 la Curia Generale di Macerata emette una sentenza in contumacia contro Mercenario, ritenendolo colpevole di aver occupato Monte San Giusto allora schierata con il partito guelfo. Il tiranno di Fermo insieme ad altri feudatari dei castelli della Marca, cinse d'assedio la cittadina, e dopo averla conquistata passò per le armi i governanti ovvero Bruto da Pedaso e Mainardo di Corrado, anche grazie alla connivenza di alcuni assedianti che, al pari di Mercenario saranno in seguito condannati.
Le sue azioni al limite della ferocia, la sua tirannia esecrabile, portarono ai fermani anni di dolore e privazioni di ogni genere. Si macchiò di molti delitti, e di molti altri fu il mandante. Nel febbraio del 1340 Mercenario, scortato da un manipolo di sui fedelissimi, si trovava vicino al monastero di San Francesco di Fermo quando dei congiurati con a capo Gianfrancesco Gherardini lo circondarono e lo uccisero senza pietà. Gianfrancesco era il figlio del nobile di Sant'Elpidio assassinato dal signore di Monteverde durante l'assedio circa 13 anni prima.
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