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Tra le chiese più care ai fermani, un tempo sede di una delle delle maggiori confraternite cittadine.
La troviamo lungo Corso Cefalonia, nella parte terminale, quando sotto la torretta dei Matteucci lascia il posto a Corso Cavour. L'area è tra le più dense di monumenti della città, infatti la troviamo tra i due fastosi palazzi degli Azzolino e dei Vitali-Rosati. Davanti invece si innalza la facciata della Madonna del Carmine con l'annesso convento, infine su un lato si vede la medievale sagoma del Monte di Pietà. Nonostante l'aspetto baroccheggiante, era una delle più antiche parrocchie cittadine, conosciuta col nome di San Bartolomeo. La sua memoria oggi è mantenuta dall'omonima contrada, partecipante al Palio dell'Assunta. La chiesa citata già nei registri del 1192, si ricorda che tra le maggiori festività cittadine c'era quella di San Bartolomeo, il 24 agosto, dove si ricordava la cacciata del tiranno Rinaldo da Monteverde avvenuta nel 1379. Secondo una tradizione una delle statue oggi presenti nell'attuale Casa della Confraternita, calpesti la testa del tiranno, morto decapitato con i figli nel 1380. Nel 1564 in alcuni ambienti sul lato della chiesa, viene fondata la "Confraternita della Pietà". Il suo scopo comprende l'assistenza dei carcerati, soprattutto quelli destinati alla pena capitale, inoltre ha il potere di graziare un condannato nel giorno della festa di San Bartolomeo. Negli statuti cittadini del 1589 la troviamo ancora col primitivo nome, in seguito è identificata con il nome attuale. Infatti San Bartolomeo diventa la chiesa della confraternita, formando un complesso composto anche dalla Sala del Capitolo, la Sagrestia e l'Oratorio. Viene ristrutturata anche la facciata nei primi anni del XVII secolo, precisamente nel 1603, su progetto dell'architetto Oliviero Spinucci, originario della città. Pochi anni più tardi, nel 1611, il pontefice Paolo V, eleva l'istituzione religiosa a "Venerabile Arciconfraternita". Tra la fine del settecento e l'inizio del secolo successivo si provvede anche ad un rinnovamento degli interni. Viene infatti riallestito grazie all'intervento di Giuseppe Valadier, architetto romano di grande fama ed esponente dello stile neoclassico. Durante il XIX secolo si vede anche la partecipazione della "Compagnia delle Dame della Carità di San Vincenzo de’ Paoli", fondata nel 1857. Nel 1872 vengono affrescati i soffitti e le pareti dalle valenti mani del fermano Giacomo Cordella. La presenza delle confraternite va scemando durante il XX secolo, ad oggi i membri si ritrovano nella chiesa di San Domenico. Viene danneggiata durante il terremoto del 2016, quindi è stata restaurata e riaperta al pubblico in meno di due anni. Nel 2018 si procede anche al restauro della sagrestia e della sala del Capitolo della Confraternita, dopo altri lavori viene riaperta nel 2022.
Realizzata in mattoni, la facciata si serve di inserti in pietra d'Istria per sottolinearne le architetture, mostra due coppie di semipilastri ornati di semplici capitelli che si alzano fino ad un complesso cornicione. Al centro si apre il portale caratterizzato da un vistoso timpano nella parte superiore, da una cornice lavorata e da un'architrave dello stesso stile del cornicione. Ai lati ci sono due finte finestre a scopo decorativo. La parte superiore invece mostra elementi più riconducibili al barocco, ai lati due pinnacoli in pietra affogati nella parete. Al centro di altre due coppie di semipilastri si apre un finestrone, il tutto a richiamare in piccolo la porzione della facciata sottostante. Sinuose linee curve scendono lateralmente fino a raggiungere il cornicione, infine sul timpano superiore si innesta un crocifisso in ferro. Oltrepassato l'ingresso ci si ritrova sotto la cantoria che occupa il fondo della chiesa, questa è ad unica navata, decorata sapientemente dal Cordella, con alcune opere inserite nella volta superiore. Ricordiamo: "L'arcangelo Gabriele e Zaccaria", il "Battesimo di Gesù", "Erode e San Giovanni Battista" ed il "Martirio di San Giovanni". L'altare maggiore si trova nel presbiterio, dove sulla destra si trova la monumentale tomba del Conte Luigi Pelagallo, realizzata dal romano Ignazio Jacometti e risalente al 1851. Dietro una fila di lesene dipinte focalizzano l'attenzione sul "Compianto del Cristo Morto" del 1619, del "Benigni" pittore identificato col romano Benigno Vagnolini. Sugli altari laterali si trovano altre opere pittoriche: a destra "San Girolamo e San Francesco" di Luigi Fontana, dalla parte opposta "San Bartolomeo, San Nicola di Bari e San Vincenzo de' Paoli del fermano Luigi Gavazzi. Oggi la chiesa è aperta all'Adorazione Eucaristica Perpetua del Santissimo Sacramento.

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