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Il tardo Cinquecento vedeva la zona del Piceno infestata da banditi che saccheggiavano e derubavano chiunque, senza alcuno scrupolo. Tra questi vi era Spolito: faceva appunto parte di un folto gruppo di "manigoldi", come venivano chiamati, che nel giugno del 1590 piombò in piena notte a Gesso, località scelta in quanto suo luogo di origine, terrorizzando gli abitanti e facendosi consegnare tutti i poveri averi della popolazione. Ogni casa fu razziata, e giustamente, visto come sentenziò uno dei capi, Pierconte di Pietralta: "Se volete salva la vita non accennate ad alcuna reazione".
Spolito era anche amico di un altro brigante, Livio di Montefortino, noto anch'egli alle cronache criminali; infatti sul suo capo pendeva un'esorbitante taglia di 1200 scudi. Quest'amicizia costò molto cara a Spolito: il cognato del bandito di Montefortino, chiamato Scipione, invitò Livio ad una cena nella sua casa e il fuorilegge, per pavoneggiarsi, si presentò con una folta schiera di suoi cosiddetti amici, tra cui anche il bandito di Gesso. La sera trascorse velocemente, tra libagioni e scelleratezze da parte dei briganti, completamente in balia dei fumi dell'alcool, quando Scipione, organizzatore dell'incontro conviviale, capì che era giunta l'ora di mettere in atto il suo piano: intascare la famigerata taglia. Per questo diede fuoco alla sua casa.
Fu così che gli occupanti morirono tutti tra le fiamme; Scipione perse l'abitazione, ma intascò la sostanziosa taglia.

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