Uno dei capi della rivolta antiunitaria, esplosa nella montagna picena ed in particolar modo nell'acquasantano.
Era un "Chierico Prebendato" ossia un religioso che viveva delle rendite di un istituto ecclesiastico, era detto anche "Abate" ed era probabilmente originario della frazione di Torre di Sopra, nei pressi Piedicava, a poca distanza da Torre Santa Lucia. Qui durante la rivolta del 1849 si segnala un suo parente: Vincenzo Ascenzi, facente parte dei "Volontari Pontifici", nato per arginare i fenomeni repubblicani. Ha anche minime competenze mediche, infatti è anche "Flebotomo", ossia capace di effettuare semplici operazioni chirurgiche.
Tra i primi ad non tollerare l'invasione dei sabaudi, al loro arrivo nega loro ogni aiuto e si rifiuta di consegnare i libri dei battezzati. Nel dicembre del 1860 ad Arola, insieme a Don Francesco Velenosi ed altri rivoltosi, incontrano degli emissari provenienti dalla fortezza di Civitella, nel Regno di Napoli, guidati da Gaetano Troiani che invitano la popolazione all'insurrezione, assicurando l'appoggio dei borbonici. L'abate si occupa di gestire il quartiere di Venamartello, in generale è il referente del capo della rivolta, il Piccioni, per quanto riguarda la sponda sinistra del Tronto, la carica però è solo nominale. Infatti data la sua esperienza medica, Don Velenosi lo incarica di prestare i soccorsi nel quartiere ribelle di Paggese; a dirigere Venamartello sono in realtà i "Briganti" Buonamici e Cruciani. Durante l'assalto ribelle del 26 dicembre contro Cagnano, non riesce a partecipare perché i villaggi di Falciano, Forcella, Sala e Scalelle si rifiutano di partecipare alla battaglia. Una volta tornato a Venamartello, vede dall'alto che stanno dando già battaglia, costatando che ormai era troppo tardi per spostare i suoi uomini. Riceve però da Piccioni e Vannarelli, il compito di evitare che quelli di Cagnano ed Acquasanta, possano oltrepassare il Tronto, tentando di aggirare gli assalitori attraverso la sponda settentrionale del fiume. Nel gennaio del 1861 partecipa all'inutile difesa di Mozzano insieme a Don Velenosi, durante l'assedio di tre giorni posto dalle truppe piemontesi del Generale Pinelli. Una volta sedata la rivolta, l'abate non tenta la fuga come gli altri e viene arrestato dalla Guardia Nazionale di Santa Maria nell'autunno dello stesso anno, subito dopo i sanguinosi scontri di Vosci. Portato ad Ascoli, viene condannato a 25 anni di lavori forzati per insurrezione, sconta la prima parte della pena in Sardegna, forse in un convento. Viene in seguito trasferito a Vinadio, nella provincia piemontese di Cuneo, è libero dopo la Presa di Roma del 1870 quando è concessa l'amnistia dal Re, in dicembre torna ad Acquasanta. Tenta di recuperare le sue prebende ma all'inizio il Regno gliele rifiuta, tre anni più tardi alcuni documenti testimoniano che li ha infine riacquisiti. Questa documentazione è parte di un processo del tribunale vescovile, dove alcuni acquasantani lo accusano di riscuotere i benefici di terreni non in suo possesso, di aver trasformato la chiesa di Santa Giusta in stalla e di praticare l'arte di flebotomo in maniera discutibile. Da qui in poi si perdono le sue notizie.
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