Proveniva da una delle più importanti e nobili casate fermane, quella dei Tibaldeschi da Massa che tra la fine del duecento e gli inizi del secolo successivo caratterizzerà le vicende della Marca meridionale. Non si conosce la sua data di nascita, si sa che fu vescovo di Fermo dal 1250 al 1272 e per alcuni mesi, concentrò nelle sua mani sia il potere religioso che quello politico divenendo anche Podestà nel 1251.
Nel 1239 ricopriva la carica di Decano della Cattedrale e nel 1242 firma una concessione dei privilegi che il vescovo aveva accordato al monastero delle Clarisse di Offida. Divenuto vescovo nel 1250, la carica fu appoggiata dall'imperatore Svevo Federico II, in buoni rapporti con la famiglia dei Tibaldeschi, scelta politica con la quale intendeva affidare il potere sul comitato fermano, a un soggetto che non gli era ostile. Poco dopo si trovò coinvolto in un annosa disputa tra la sua famiglia ed il castello di Montegiorgio, sorta per motivi catastali e politici; fu incaricato di risolvere la questione il Podestà Guido da Gubbio, ma solo nel 1270 si raggiunse l'accordo definitivo tra le parti. Fu protagonista anche di un'altra disputa tra Fermo e il comune di Ripatransone, questo aveva deciso di darsi una costituzione propria e di ottenere direttamente da Roma la completa autonomia e già dal 1253 si rifiutò di pagare tutti i tributi. Le controversie andavano inasprendosi, ma dopo l'intervento di suo fratello Guglielmino che assediò il castello nell'aprile del 1256, fu raggiunto un compromesso che prevedeva l'assegnazione di condizioni economiche per lo più favorevoli ai fermani. Con l'editto di Papa Alessandro IV, viene però riconosciuto il diritto dei ripani a non dover pagare tassazioni a Fermo. Dopo la morte del papa, Gerardo si adoperò immediatamente per ristabilire la sua giurisdizione su Ripatransone che si rifiutò in maniera decisa, quindi cercò in tutti i modi di impegnarsi affinchè la comunità fosse colpita dalla scomunica, ma dopo il 1266 il pontefice Clemente IV, accordava la riconferma dei diritti temporali e spirituali sulla comunità di Ripana.
Nonostante le sue simpatie imperiali mantenne buoni rapporti con il papato al tempo guidato da Innocenzo IV, grazie a questa politica riuscì ad incrementare i possedimenti del comune fermano, in questo lasso di tempo furono acquisiti territori attigui a Marano, Montefalcone Appennino e Penna San Giovanni nel maceratese, nel 1252 aveva addirittura riportato all'ordine un castello notoriamente ribelle come Monte San Pietrangeli. Per allargare e consolidare le proprietà dell'episcopato, dovette stringere una salda alleanza con i suoi fratelli che gli fornirono il necessario appoggio militare, un agguerrito esercito, che fu usato sia per un'espansione di territorio, che come deterrente. Uomo spregiudicato, ma attento a non sbagliare le sue mosse politiche, si schierò a favore dell'ambizioso Manfredi che aveva usurpato il trono imperiale al legittimo erede Corradino, ancora in tenera età. Anche grazie alle conquiste militari di Percivalle Doria e Rinaldo di Brunforte, alleati di Manfredi, dopo numerosi successi militari in Italia centrale del 1261 vide il ritorno di fermo sotto il controllo dell'imperatore.
Ma queste tattiche politiche lo portarono ha scontrarsi con il papato, nel 1256 Alessandro IV punisce la città dando il suo appoggio ad Ascoli nella sua lotta contro Fermo che durava ormai da anni, in un ordinanza dichiarava che le autorità fermane dovevano rilasciare i prigionieri sia ascolani che offidani, catturati, minacciando gravi sanzioni e di privare la città della dignità vescovile, con la scomunica di tutti i suoi cittadini. Neppure questi provvedimenti servirono a piegare la politica filo-imperiale di Gerardo, Manfredi quindi ribadì alla città i benefici concessi da Federico II ma con l'elezione di Papa Urbano IV però le cose iniziarono a cambiare, uomo risoluto attuò una tattica diversa ed accusò Gerardo di pessimi costumi e di condurre una vita nel peccato, con reiterate offese alla fede cristiana e alla morale. Nonostante i rapporti tra il papa e il vescovo fossero tesi, i due ebbero un incontro ad Orvieto, dove ci fu un parziale avvicinamento.
Con la morte di Urbano IV, i contrasti con il nuovo pontefice Clemente IV furono molto altalenanti, tra bolle di scomunica e riconciliazioni, si arrivò varie volte alla rottura dei rapporti, Gerardo e Guglielmino quindi ancora una volta passarono dalla parte imperiale, questa volta rappresentata da Carlo d'Angiò, succeduto a Manfredi. I due Tibaldeschi vennero accusati di aver catturato, durante gli scontri tra le truppe pontificie e quelle imperiali, il Conte Mainardo di Panigo nobile guelfo e uomo del papa, dopo ben due lettere dove si intimava l'immediato rilascio dell'ostaggio, nel 1265 fu emesso un mandato di arresto per Gerardo, con gravi capi di accusa. Clemente incaricò il Rettore della Marca di fornire tutti gli elementi e i riscontri delle imputazioni alla fine di accertare la verità, le notizie sono incerte, ma anche se fosse stato arrestato, probabilmente rimase in carcere solo poco tempo. Dalla documentazione ufficiale rimase capo della diocesi fino al 1272 anno dalla sua morte.
Come uomo religioso e politico riuscì quasi ogni volta a trarre profitto dalle sue scelte, sempre pragmatiche ed incentrate sull'interesse sia personale che famigliare, risulta dalle cronache che fu anche di facili costumi e si macchiò di atti di libidine, come si attesta da una lettera redatta da Urbano IV del 1263. Ebbe quattro figli con donne diverse come riportato da documenti del 1313, tutti legalmente riconosciuti poiché parteciparono alla spartizione dei beni di famiglia, si ipotizza che avesse intrattenuto rapporti carnali anche con monache e di aver commesso ripetutamente incesti. Lo storico Michele Catalani nel suo "De Ecclesia firmana", lo scagiona in parte da queste accuse che nonostante la gravità degli atti commessi da Gerardo, rimarca come fosse rimasto in carica fino alla sua morte, ciò sta a significare che alcuni capi d'accusa si dimostrarono già all'epoca, privi di fondamento.
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