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Originario di Massa Fermana, Boffo aveva il controllo e il dominio di molti territori della Marca meridionale. Non si hanno riscontri storici, ma pare fosse imparentato con Filippo Tibaldeschi, un nobile avventuriero che dopo aver trascorso alcuni anni in esilio si impadronì della città di Ascoli.
Boffo era sicuramente un valente condottiero. Nel 1360 il suo nome compare nell'elenco degli invitati di riguardo a una assemblea nella tenuta dell'altro famoso tiranno Gentile da Mogliano; in questa circostanza Boffo, che voleva essere un prezioso alleato di Gentile, concordò di prendere la città di Fermo. In quell'incontro furono decisi i tempi e i modi per cingere d'assedio la città, che verrà conquistata nelle settimane successive.
La Marca nel XIV secolo fu ricondotta quasi del tutto sotto il controllo dello stato pontificio e Boffo si prodigò con coraggio in difesa di Ascoli, scagliandosi contro le milizie del pontefice. Il signore della guerra di Massa Fermana col suo carattere infuocato e irascibile non era certamente un uomo di pace tanto che si fece molti nemici. Nel 1369, la città di Ascoli con il Governatore Blasco Gomez, nipote del Cardinale Albornoz, era tornata sotto il dominio dello stato della Chiesa, ed essendo al potere il partito guelfo gran parte dei Ghibellini erano stati posti al bando. Questi, capeggiati dalla nobile famiglia dei Tibaldeschi, si erano rifugiati a Castignano, e fu in quell'anno che Boffo, che con costoro era imparentato, entrò nel castello, che rivestiva un ruolo fondamentale nel quadro politico territoriale, conquistandolo e diventandone di fatto "signore", indubbiamente una grande conquista. Si trattò di una congiura ghibellina, giacchè Boffo fu effettivamente aiutato nella scalata al potere dai ghibellini castignanesi, ascolani e addirittura fermani, a riprova che la fazione era in grado di mettere d'accordo uomini i cui castelli e città erano nemici irriducibili. Il condottiero in realtà aveva preso di mira anche il territorio di Carassai, conquistato solo nel 1381 e di Cossignano, dove riteneva di poter accampare i diritti dinastici in quando un suo avo della linea di sangue Tibaldeschi-Massa nei secoli precedenti era stato possessore di queste terre.
Gli storici lo definirono un guerriero valoroso ma fu anche un crudele tiranno dotato di una doppiezza d'animo che gli consentiva di operare cambiamenti improvvisi di "casacca", oscillando e trattando con tutte le fazioni nel particolare contesto politico del Trecento marchigiano, passando dai Visconti al papa, alla Lega Fiorentina ai suoi seguaci sopratutto a Castignano.
Nel castello dopo pochi mesi si verificò una rivolta popolare e, in seguito a questi avvenimenti, oltre 380 persone che non vollero piegarsi alla sua "politica" furono costrette all'esilio, probabilmente in larga parte a Fermo e nei suoi territori, tornando alle proprie case solo nel 1378 dopo una "dispensa" papale. La situazione per Boffo e i suoi partigiani non poteva durare a lungo, le genti del castello di Castignano erano notoriamente tenaci e mal tolleravano "governi" non troppo attenti alle esigenze della popolazione, erano da sempre "allergiche" alle attenzioni degli ascolani, figuriamoci addirittura a un "forestiero" di Massa Fermana. Il vento politico cambiò sicuramente nel 1371, quando Ascoli e Fermo, entrambe sotto il dominio guelfo si allearono con Ancona e Recanati, dando manforte alle truppe di papa Urbano V contro i ghibellini le cui roccaforti di Osimo, Senigallia e Cingoli capitolarono, una disfatta totale e anche a Castignano la "situazione" si fece pesante, benché la "signoria" di Boffo, pur essendo sorretta dai ghibellini, probabilmente era alquanto personale.
Cercò ancora gloria negli anni a seguire, conquistando Cossignano e diventando "signore" di Carassai, prese in considerazione la riconquista di Castignano ma l'iniziativa fu bloccata sul nascere. La sua morte invece fu paradossalmente non sul campo di battaglia ma dovuta a un fatto particolare: venne trafitto o colpito da un marito tradito dalla moglie che scopri la tresca, probabilmente alle spalle, vista la stazza e la postura. Una fine alquanto ingloriosa! Fu sepolto nella chiesa carassanese di Sant'Eleuterio, ora demolita e ricordata da una croce.
Nel XVIII secolo in seguito a dei lavori in una chiesa di Carassai furono ritrovati i suoi resti, a detta di un testimone oculare il suo scheletro era quello di una struttura gigantesca, più grande della norma, le sue ceneri furono successivamente gettate in una fossa comune.
La sua fama rimase nell'immaginario collettivo tanto che nel 1888 fu pubblicato un libro che trattava delle sue gesta.

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