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Una delle mete turistiche di maggior rilievo dell'ascolano, incastonata tra le montagne e raggiungibile attraversando le scenografiche gole dell'Aso. Da qui si iniziano alcuni classiche escursioni sui monti Sibillini come quella ai Laghi di Pilato e fin in cima al monte Vettore oppure la salita verso le creste del monte Sibilla ricco di leggende.
Si sostiene che anche il nome derivi dalla sua conformazione all'uscita di una gola, Foce potrebbe venire da "Fauci", altre ipotesi meno attendibili sostengono che possa derivare dal termine latino "Focus": fuoco oppure dal termine antico di fonte in quanto li nasceva il fiume Aso.
Pochissime sono le notizie sulla sua storia, il castignanese Don Basilio Brunori, parroco di Foce agli inizi del '900 che tanto si prodigò per la frazione, aveva raccolto le sue ricerche in un libro che andò purtroppo perduto durante la seconda guerra mondiale, quindi molto poco è giunto ai nostri giorni. Ignota quindi è l'origine e secondo alcune ipotesi potrebbe risalire forse ai romani o ai piceni o addirittura ancora prima in quanto si suppone che l'area fosse abitata già dal IX secolo a.C.
Da quel poco che si sa appare nel medioevo, tra il 1178 fino al XVII secolo la chiesa di San Bartolomeo era un'abbazia sottoposta alla chiesa montana di San Leonardo al Volubrio e dai monaci avellaniti e probabilmente il centro sarà sorto in stretta relazione con i monaci, probabilmente entrerà presto in relazione con la più grande Montemonaco. Tradizionalmente si vuole che il vicino abitato di Rocca, dall'altra parte delle gole dell'Aso, era stato governato dal vicino comune di Norcia fino a quando i montemonachesi la conquistarono aggregandola al suo territorio. Non viene nominata Foce ma data la sua posizione sicuramente sarà stata coinvolta nelle numerose liti di confine e per il controllo dei passi montani tra i due comuni. Infatti si legge dagli statuti di Montemonaco del XVI secolo, che si rifacevano a quelli più antichi si legge che per la festa di San Bartolomeo i capitani dei quartieri al seguito di un gruppo di armati si recavano a pregare nella chiesa di Foce per poi perlustrare i confini con Norcia per poi tornare il giorno dopo nella piazza del comune.
Seguendo le vicende del capoluogo sappiamo che il suo territorio dalla costituzione del libero comune nel XIII secolo radunando una serie di castelli limitrofi, era stato prima possesso farfense e alla dipartita dei monaci si sarebbe sottomesso direttamente alla Santa Sede, rimanendo indipendente dai comprensori dei castelli Ascolani e Fermani che riusciranno a sottometterla solo per brevi periodi.
Foce viene nominata nei catasti ascolani redatti nel 1381 e ritorna tra le pagine della storia legandosi al mito della Sibilla quando, attratto da questi misteri, il cavaliere francese Antoine de la Salle viene in visita in questi luoghi scrivendo nel 1420 il suo famoso libro dove è riportata anche una mappa dell'area. Anche Antonio da Barberino che scriveva dieci anni prima del francese ambienta in queste montagne le vicende del suo Guerrin Meschino che saranno poi pubblicate solo nel 1473. Fatto sta che qui passeranno vari personaggi, maghi e negromanti attratti dai misteri della Sibilla e dei Laghi di Pilato, tanto che la santa sede scomunica il capoluogo per aver ospitato gli eretici, data la posizione fuori mano nel XVI sarà come tutta l'area montana funestata dal brigantaggio. Nei primi del XX secolo viene notata per la sua vocazione turistica data la bellezza mozzafiato del luogo e veniva definita la "Svizzera Picena", durante la seconda guerra mondiale è rifugio dei partigiani. Nel dopoguerra viene interessato da una serie di captazioni delle acque del fiume Aso che andranno a ridurre la persistenza del laghetto all'ingresso del paese che a volte si prosciuga del tutto, gli ultimi terremoti hanno causato danni anche qui.
D'inverno il paese rimane disabitato a causa del pericolo valanghe che hanno reso necessaria anche la costruzione di una galleria nell'area più esposta sita all'interno delle gole, nella bella stagione è meta di numerosi turisti attirati dalla Piana della Gardosa, tradizionale meta di scampagnate e pic-nic. Oltrepassati al laghetto d'ingresso ci si ritrova nella grande piazza dove al centro svetta il monumento ai caduti e a Don Brunori, si trova anche il bel parchetto e la fonte, qui si parcheggia per una visita al borgo che conta anche alcune case antiche. Scenografica la strada che oltrepassando l'ambiente coperto raggiunge la parte alta del paese dove ora sorge il cimitero, questa è la parte più antica e si possono vedere alcune case rinascimentali e medievali. Dirigendosi verso la piana, alla fine del'abitato, si trova la chiesa di San Bartolomeo mentre davanti agli occhi si apre la monumentale piana percorsa dai sentieri diretti alle vette ed ai passi montani. Vale veramente la pena arrivare fin qui, un'esperienza che non lascerà delusi.

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